«… Quando si deve intervenire con un’operazione di restauro, questa è sempre una necessità triste, poiché occorrerebbe dare la supremazia alla conservazione e alla manutenzione.  Il restauro è un’operazione di ripristino, operazione che reintroduce sull’architettura un elemento che è andato distrutto, che porta l’architettura a uno stato originale non più esistente. Quindi l’operazione restauro, quand’anche dovesse farsi, è comunque una sconfitta della cultura che non ha saputo conservare il monumento.»

E’ nostro dovere conservare l’oggetto per le generazioni future in condizioni inalterate, ove però quelle generazioni non subiscano esse stesse, e più del monumento, la  violenza  e l’ingiuria di un “tempo” senza etica. E’ difficile e spesso dilettantesco parlare delle proprie emozioni dirette, anche se  vi si ritrova sempre  una squallida bellezza nei discorsi da osteria: forse solo Shakespeare ha saputo riprodurre la tensione di questa differenza. Come nel vecchio oratorio trascritto da Patrick le quattro figure si alternavano: il Tempo, la Bellezza, il Disinganno, il Piacere.   La soluzione era prefissata ma non per questo meno interessante. Ovviamente vinceva il Tempo ma le parti degli altri personaggi erano appassionanti perché semplici funzioni del Tempo. Un Tempo senza etica tradisce sempre la Bellezza, il Disinganno, il Piacere dello stare in una Comunità semplice, così come un Tempo privo di etica della conservazione tradisce la bellezza della storia di un racconto. E forse nel racconto il segno può mutarsi, ma i segni tangibili con cui il racconto si trasmette sono ciò che possiamo ancora chiamare storia o progetto.  Il principio fondamentale dell’etica  nel restauro è non danneggiare mai l’oggetto che ci è affidato, il che sottintende un’etica della conservazione e del rispetto.

Una palificata di cemento lungo una scarpata è solo un’opera di calcolo strutturale in cemento armato, espressione di segni senza storia

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